53. Pieno di carburante

[Sul bus notturno a londra]

 

Vado a fare il pieno di carburante. Un altro svenamento. Entro nell’area di servizio, arresto l’auto di fianco alla pompa del gasolio. Attendo. Nulla. Il “ragazzo” di colore sta ultimando l’asciugatura di un auto già lavata. Mi vede, ma non fa alcun gesto che mi faccia capire che si sia accorto di me e mi voglia assistere. Allora gli chiedo se l’intera area è un “fai da te”. Dal gabbiotto viene fuori quello che, dall’andamento deciso, sembra il gestore. Ma dall’aspetto assomiglia più ad un addetto. Mi chiede se devo rabboccare il serbatoio. “Pieno”, gli dico. Sgrana gli occhi. Quanto? “Pieno”, “pieno” di gasolio. A me serve per proseguire il viaggio. Comunque sono del parere che il serbatoio deve restare sempre pieno. Una qualsiasi emergenza che possa occorrere, non devi chiedere nulla a nessuno e puoi muoverti senza avere dubbi sul livello del serbatoio. Che senso ha fare 20 euro di carburante quando il serbatoio è vuoto e non farlo quando è quasi pieno? Tanto sono sempre 20 euro, ma hai il vantaggio di avere un cospicuo quantitativo di carburante per spiccare il volo, per andartene lontano. Avrai in serbo sempre un motivo e una via di fuga per intraprendere un viaggio lungo, lunghissimo. Il benzinaio ha l’aria dimessa e osserva che, nonostante la mia aria da “ragazzo” adulto e il modello della mia auto, sono una persona che lui definirebbe “per bene”. A quel punto il contatto è stabilito. Nota dalla mia inflessione verbale che non sono del posto e mi dice: “Sa! Qui vengono con un’aria arrogante a chiederti di controllare le gomme o pulire i vetri, è tutto un degrado, non ci sono soldi e la città muore”. Gli rispondo: “Io vivo a Trieste, la benzina l’andiamo a fare in Slovenia perché costa meno della quota di carburante agevolata che la regione autonoma del Friuli Venezia Giulia concede per le città confinanti”. E si prosegue con dissertazioni aspre e dure circa il costo “politico” del carburante. “Ma lei ha fatto bene a trasferirsi a Trieste. Il nord è diverso”. Si, il Nord. Il Sud. Il Centro. Rispetto a che. Rispetto a chi? Io direi rispetto alla cultura e alla storia, che ci ha portati qui a parlare di Trieste come una città vivibile. Non esiste ancora, dall’unità d’Italia del 1861, una sola Italia. Ce ne sono almeno 100, una per ogni provincia. Perché le regioni sono poche e la loro area è troppo vasta. Sono deluso e disilluso. Io posso dirlo. Sono nato nella provincia di Teramo. Ho vissuto a Taranto, che mi ha dato il marchio di “terrone”, in quanto porto ancora con fierezza la mia cadenza pugliese, molto pulita, quasi impercettibile, ma comunque non prossima a quella “pulita” del nord. Ho vissuto tanti anni a Torino, a Milano, a Genova. Quasi 5 per ognuna di esse. Più di un lustro di residente all’estero tra Iran, Malesia, Spagna, Slovenia. Ora Trieste mi ospita da circa 7 anni. (ma quanti anni ho? Highlander!). Ovunque sia stato, l’Italia era diversa. Ognuno si sentiva superiore, ognuno era protagonista, fautore e risolutore delle sorti dell’Italia. Ognuno si arrogava del diritto di farmi sentire un estraneo, un “diverso” da loro. Eppure, sono sempre stato un “emigrante di lusso”, un ingegnere al servizio di aziende nazionali e internazionali. Ma le discriminazioni razziali ed etniche sono nel nostro acido desossiribonucleico (dna). Sì, questa città sta morendo. E lui, il benzinaio, continua dicendomi che faceva il rappresentante della Bic, ma un’acquisizione da parte di una multinazionale ha messo in ginocchio quella fascia di operatori. E si è ritrovato a fare il benzinaio. Gli chiedo scusa domandandogli l’età. Ha 45 anni. Ne dimostra almeno 15 in più. Ma la cosa che mi ha fatto riflettere è che lo sentivo “vissuto”, tanti anni più di me. Anche questo è stato il mio pieno di …. carburante!

Commento Uno
ciao Saba caro! facciamo tutti parte di un’Italia divisa e unita dalla sua storia.. siamo tutti parte di un unico luogo e ci dirigiamo verso un’unica meta anche se aspirando a infinite destinazioni. l’infinito e l’uno si contengono sempre. li ritroviamo in qualsiasi cosa facciamo e in qualunque persona incontriamo, oltre alla nostra anima più profonda. il nostro DNA è mondiale.. Perché siamo nati tutti dalla stessa radice. siamo rami di uno stesso albero le cui foglie si intrecciano e il cui polline si diffonde e produce nuove gemme e nuovi frutti. Una piccola terrona.. orgogliosa e fiera di esserlo.

Commento Due
Mi viene in mente una battuta: “Cosa ne pensi dell’aumento del prezzo della benzina? Che mi frega! Io continuo a metterci sempre 20 euro…” Si dice sempre che l’Italia è lunga. Siamo diversi tutti. Nord e sud. Regione per regione, province, città, quartieri. Guelfi e ghibellini. Comunisti e fascisti. Laici e bigotti. Divisioni, sub divisioni, distinguo. Nessuna fratellanza, senso di unità o di appartenenza. Ognuno una bandiera, una divisa, un gagliardetto. Lo stemma del proprio municipio. Ci appuntiamo le stellette e tappiamo in nostri vuoti dell’anima. Insulti razziali, etnici, religiosi. Terrone è, ormai, quasi bonario ma 40 anni fa c’erano i cartelli “Non si affitta ai meridionali” non diversi da certi avvisi del Sudafrica con l’apartheid o della Germania nazista. Dobbiamo essere “migliori di”. Vogliamo qualcuno da disprezzare, per consolarci. La differenza non ci attrae ma ci spaventa. Oggi noi terroni (di prima, seconda o terza generazione) ci “salviamo” perché nella scala dell’odio sono entrati altri disperati. Immigrati, extracomunitari, vucumprà, clandestini, migranti. Li appelli come preferisci. Alla fine il discorso è sempre lo stesso: la paura del diverso. Il monstrum che bussa alla porta, le nostre certezze che traballano. Poi, la reazione. Disprezzo, insulti, discriminazione, pogrom, centri di raccolta… E allora? Allora basta con le cazzate de “italiani brava gente” e “popolo tollerante”, le “radici cristiane”. Senza la ricchezza del boom economico saremmo finiti come l’ex-Jugoslavia e la presenza (ed il successo) di attuali partiti politici xenofobi e razzisti ne è la riprova. Non sono orgoglioso di appartenere a nessuna parte d’Italia. Mi sento apolide, uno straniero nella mia nazione. Non ho città, quartiere o squadra. Ma non mi sento innocente. Come sempre non mi sottraggo perché se hai un problema sei parte del problema.