[La ruota di Silvia a Taranto, viale del Tramonto]
È uno spettacolo vederlo correre. La disinvoltura, la plasticità. E’ elegante, per nulla rigido. Si diverte, gesticola, balla per festeggiare. Un uomo senza formalismi. Lontano dai musi grigi di chi si prende sul serio e conosce i propri limiti. E, proprio per questo, criticato dal presidente del Cio, Jaques Rogge. Si! Rogge ha contestato a Usain il fatto di irridere gli avversari e non rispettarli, per non averli salutati alla fine delle gare. Un’altra dimostrazione di come l’eccezionalità, ma ancor più la “semplicità” grida allo scandalo. Sei fuori standard e quindi pericoloso. Lui, Usain, dice che non è così, e noi glielo riconosciamo, perché si vede che è naturale e per nulla arrogante e presuntuoso. Usain Bolt, un cognome, un destino. In giamaicano vuol dire “lampo”. Ed allora di cosa ci meravigliamo? Da piantatore di caffè alla ribalta dello sport e nella storia della corsa. I suoi record sono destinati a rimanere in piedi per almeno un decennio. E pensare che nella gara dei 100 non aveva forzato. Aveva mollato agli 80 metri, guardandosi in giro e gesticolando con le braccia, continuando la corsa per inerzia. Avevano detto che le sue gambe erano troppo lunghe. Invece è un antilope, un lampo. Impersona il sogno dell’uomo che vola. Lui lo può fare. Non vola con le ali. Ma con le proprie gambe!
